in
Abruzzo
Canzano,
un borgo vivo
Anni belli quelli del 1985, ricordo quando ad Agosto tornavo
giù in Abruzzo i ferie sul mare Adriatico, precisamente a
Francavilla e accompagnato da Luciano, mio fratello e da
mamma Gina, andavamo a trovare lo zio Argento che faceva le
sue ferie a Canzano in provincia di Teramo, dove passava
tutto il tempo facendo delle lunghe camminate su in
montagna. L'ultima volta che sono andato a trovarlo, aveva
avuto qualche problemino fisico, un leggero ictus, ma
sembrava che le cose stessero tornando per il meglio e più
passava il tempo e più le sue condizioni miglioravano con
l'aria buona e la tranquillità del posto. Era il mio zio
preferito, da parte di mamma perchè con lui si poteva
parlare di tutto, dalla politica alle cose più banali ed era
sempre pronto a darti il suo parere quasi sempre
equilibrato. Lui era impiegato in una agenzia di recupero
crediti e si occupava di recuperare tutte le tasse che
mancavano all'erario o che venivano spesso dimenticate
o che addirittura non si sapeva di dover pagare. Gente
sopratutto contadina che lui contattava di persona,
facendosi delle lunghe camminate, andandoli a trovare a casa
e qualche volta anticipava loro anche la rata da pagare. Era
ben voluto da tutti e spesso lo si poteva trovare nei giorni
di festa in Piazza della Trinità a Chieti, di mattina, fermo
davanti al bar pasticceria "Sigismondi" a conversare con i
conoscenti. Come vi dicevo, d'estate l'andarlo a trovare era
per me una gioia e spesso passavo delle ore a parlare con
lui. Lui andava sempre a Canzano, bella cittadina posta sul
crinale delle colline che separa le valli del Vomano e del
Tordino, quasi a mezza via tra mare e montagna. Quì sorge
questo borgo dal nome curioso: Canzano. Piccolo, discreto,
silenzioso, a torto trascurato dai percorsi turistici della
provincia teramana, ma straordinariamente vivo nella sua
cultura. Una cultura del borgo tutta da scoprire, nella sua
pregevole vocazione artigianale, nelle suggestive ed antiche
“casseforti del freddo”, nelle eccellenti pitture di San
Salvatore, ma soprattutto nel delizioso gusto del suo piatto
tipico. "il
tacchino alla canzanese". A 440 metri di
|
La
Chiesa
della Madonna dell'Alno
La
Chiesa di San Salvatore
|
|
Canzano d'inverno
altitudine, in posizione dominante le valli del Vomano e del
Tordino, Canzano gode di un panorama straordinario, che
permette allo sguardo di vagare dal Gran Sasso
all’Adriatico, in una molteplicità di sensazioni visive
prodotte da un paesaggio collinare addolcito dalla
laboriosità dell’uomo ed inasprito qua e là solo dalle
pareti erose dai calanchi. Al paese, che conta poco più di
1800 abitanti, si accede anche da Teramo, da cui dista 16
Km, attraverso la Statale 81. Penetrata l’antica cinta
muraria, della quale sussiste un torrione medievale merlato,
dall’arco di Porta Nuova che sovrasta il Belvedere, inizia
Via Roma, la strada principale di accesso. Di qui a Piazza
Risorgimento, sede dei principali servizi, è un susseguirsi
di vicoli stretti e brevi, dai nomi caratteristici come Vico
del Sacco, Vico Fresco o Strada Piazzetta, con i suoi 65 cm
di ampiezza. Alcuni bei palazzi con pregevoli portali
testimoniano dell’augusto passato e, sotto il manto
stradale, con funzione di stalla, granaio o cisterna per
l’acqua, si dipana un sistema di grotte e forse di
camminamenti sotterranei costruiti dai monaci come vie di
fuga. L’elemento religioso è imprescindibile a Canzano,
nella cui storia si staglia, come un cammeo, l’apparizione
miracolosa della Vergine, il 18 maggio 1480, ad un contadino
intento ad arare il podere dove oggi insiste la chiesetta
del Perdono. La Madonna, detta dell’Alno, denominazione
locale di pioppo o di ontano, chiese d’essere onorata con la
costruzione di una chiesa nel piano del Castellano, dove si
venera nel santuario barocco che è sede parrocchiale. Delle
origini del paese non si hanno dati certi, sebbene anche
l’ufficialità dello stemma comunale, in cui il profilo di un
moro si delinea sui colli Civetta, Castellano e San
Salvatore, sembri avere accreditato l’ipotesi della
fondazione saracena. La stessa ambiguità circonda il nome,
che si fa derivare dalla famiglia romana degli Atthii,
possibilità che troverebbe riscontro nel rinvenimento in
Canzano dei resti di una villa romana. Esiste tuttavia una
data, il 1150, a partire dalla quale, come scrive il padre
passionista Di Nicola (Canzano storia-folclore-turismo,
1997), il paese si affaccia «con la statura di un gigante»
in reiterate rassegne feudali che ne assegnano la proprietà
agli Acquaviva, ai de Canzano e quindi agli Alarcon y
Mendoza, signori della Valle Siciliana. Un’ampia
documentazione, inoltre, testimonia la floridezza della vita
civile e culturale del paese tra Seicento e Novecento. Nella
liberalità della pratica del ricamo, Canzano trova una delle
sue vocazioni autoctone più solide, segno - tra i tanti di
ordine civile, rituale e ludico - di una relazione serena
con la sua storia. E’ una storia che affonda le radici nella
pratica della bachicoltura e nella produzione estensiva
della seta, autentico caposaldo dell’economia locale nel
secolo XIX, oltre la coltivazione familiare del lino e della
canapa. Il merletto, nelle tipologie all’uncinetto e ai
ferri, ed il ricamo, ad ago su tessuto, divengono patrimonio
condiviso proprio sul finire dell’800, con l’apertura di una
scuola femminile da parte delle suore dell’ordine di S.
Anna, gestita poi da quelle della Divina Provvidenza, che
tra alterne vicende riuscirà a trasmettere alle fanciulle il
valore del ricamo come aspirazione al bello, da conservare e
tramandare.
Il merletto
Le
Casseforti del freddo di Canzano.
Pensare oggi al ghiaccio come ad un bene prezioso è
anacronistico, ma c'era un tempo in cui esso era considerato
merce rarissima e la nevicata diventava una benedizione del
cielo. Ma quella sorta di oro bianco piovuto giù dalle
nuvole durava un giorno e subito tornava ad essere acqua al
primo sole. Per questo l’uomo inventò un ingegnoso sistema
per conservarlo nel tempo. Neve e ghiaccio rappresentavano,
un tempo, l’unica fonte del freddo - indispensabile per la
conservazione dei cibi - ed allora era normale, in molti
centri abitati montani, andare a raccoglierli sulle montagne,
nei filoni dove si stratificavano e conservarli in luoghi
freschi ed umidi, come sotterranei, grotte, o in costruzioni
apposite chiamate neviere. Intorno al 1500 in alcuni paesi
dell’Abruzzo, la raccolta della neve divenne una fonte di
reddito, tanto che nacque la figura del “nevarolo”di
professione. I “nevaroli” risalivano il monte, fino ai
filoni che conoscevano in tutte le loro caratteristiche
geomorfologiche, vi si calavano con scale e corde e
tagliavano i blocchi di ghiaccio. Li riportavano a valle in
gerle di vimini, avvolti di paglia e foglie secche che
fungevano da isolanti, sul dorso di muli ed asini. Giunti a
destinazione i blocchi venivano venduti o conservati. Un
vero tesoro, testimonianza dell’arte e della saggezza
abruzzese è la neviera conservata nel cuore di Canzano. La
struttura è custodita al di sotto di una palazzo nobiliare
posizionato nel centro storico del paese, sede del rinomato
ristorante “La tacchinella”. Dagli scantinati del palazzo,
ambienti freschi e spaziosi, si giunge, attraverso una porta
di accesso ad una scala, in ripida discesa, percorribile con
i muli, scala che interseca due nicchie laterali e porta
alla stanza della neve. La sala principale presenta sulle
Il
Nevario
pareti quattro
nicchie più una sulla parete di fondo. Il pavimento in
pendenza consente il defluire delle acque di scolo. L’esame
delle strutture induce ad una datazione verso la fine del
XII sec., per i confronti con le strutture, certamente più
imponenti, ma sostanzialmente analoghe per metodi
costruttivi e scelta dei materiali, dell’architettura per il
lavoro cistercense.
Il tacchino
alla canzanese.
Orgoglio della gastronomia locale e gelosamente difeso,
nella originalità della ricetta che si tramanda da più di un
secolo, il tacchino in gelatina, detto appunto alla
canzanese, è apprezzato per la leggerezza e il gusto
delicato appena insaporito dalla vivacità del pepe e degli
aromi. Se la leggenda vuole questo piatto nato per caso, da
una pentola dimenticata in un forno, le cronache informano
che per le sue caratteristiche organolettiche il tacchino
alla canzanese sia stato inserito nelle dieta dei primi
astronauti a bordo dell’Apollo 11. Si tratta di una
preparazione prevalentemente invernale, immancabile sulla
tavola del giorno di Natale, che, tuttavia, oggi si può
assaporare tutto l’anno nei ristoranti tipici del posto.
Alla relativa essenzialità degli ingredienti, ovvero un
tacchino intero, meglio se femmina, aglio, alloro, sale,
pepe in grani e, secondo le varianti, zampe di pollo e nervi
di vitello, si contrappone l’estrema laboriosità della
preparazione e della cottura. Secondo la ricetta, infatti,
il tacchino, dopo essere stato nettato e fiammeggiato,
privato del collo e della testa ed eviscerato, va
abbondantemente soffregato di sale mentre nel ventre, che
verrà chiuso con del filo, si porranno anche dei grani di
pepe nero.
La carne così
condita riposerà la nottata intera e solo al mattino si
procederà alla cottura, che dovrà avvenire nel forno a legna,
a calore moderato, per cinque o sei ore, in pentole
preferibilmente di coccio o smaltate, che permettano una
completa immersione delle carni nell’acqua, cui si
aggiungeranno foglie d’alloro, sale, aglio, pepe ed
eventualmente le altre ossa. Terminata la cottura del
tacchino, che dovrà presentare una lieve doratura in
superficie, ed asportato il filo, la carne sarà disossata e
ordinata in una ciotola. Su di essa, accuratamente sgrassato
e filtrato con l’ausilio di un panno, sarà riversato il
liquido di cottura, per formare, dopo un’altra nottata di
riposo in luogo fresco, la dorata, trasparente e sapida
gelatina che fa del tacchino alla canzanese un piatto
davvero unico.
I colori di
San Salvatore.
Grazie alla ricchezza del suo ciclo di affreschi, che
purtroppo si presenta lacunoso, la chiesa di San Salvatore
può essere considerata la Cappella Scrovegni d’Abruzzo, per
la decisa impronta giottesca penetrata attraverso la Romagna
e le Marche. La chiesa romanica di S. Salvatore sorge poco
distante dal centro abitato di Canzano. La sua struttura
molto semplice (pianta basilicale a tre navate e una sola
abside semicircolare, senza cripta) denota la sua vetustà
riportando la fondazione ai primi anni dopo il Mille. La
porta d’ingresso, molto semplice, ha due capitelli che
reggono l’architrave dove sono scolpiti, due per lato, i
simboli degli Evangelista. L’arcaicità della scultura è una
ulteriore conferma dell’antichità del monumento, anche se
non esistono documenti certi a conferma. Il più antico,
infatti, risale solo al 1221, quando il cenobio era già
fiorente e dipendeva da S. Salvatore di Rieti. Oggi il
monastero non esiste più e nell’area dove sorgeva ha trovato
posto il cimitero. Nel XIV secolo la chiesa passò sotto la
giurisdizione dei Benedettini Farfensi di S. Vittoria di
Matenano: infatti la decorazione pittorica fu eseguita da
artisti operosi in dipendenze farfensi tra Marche e Abruzzo.
L’edificio fu ripristinato da un accurato restauro alla fine
degli anni ’60 che eliminò gli interventi impropri e
consolidato la struttura. L’interno presenta tre navate con
arcate a tutto sesto su pilastri quadrati; nella nave
centrale affreschi con la vita di Cristo molto danneggiati,
di cui rimangono, l’Annunciazione, la Presentazione al
Tempio,
l’Ultima
Cena, la Crocefissione; nei sottarchi figure di Santi e
Profeti. La presenza di artisti farfensi è anche attestata
dalla figura di S. Vittoria, con la bandiera bianca crociata
di rosso, che il Bologna erroneamente scambia per S. Orsola.
L’autore di tali affreschi è da riconoscere nel Maestro di
Offida, presente anche in altre chiese abruzzesi: Bellante,
Atri, Ronzano, Morro D’Oro, Città S. Angelo, Penne. La
datazione può ricostruirsi con due epigrafi dipinte, che
indicano come data il MCCCLXXVIII, (1378) coerente col ciclo
di Santa Maria della Rocca di Offida del 1367. La ricchezza
delle pitture, malgrado le lacune, fa sì che S. Salvatore
possa essere considerata la Cappella Scrovegni d’Abruzzo,
per la decisa impronta giottesca penetrata attraverso la
Romagna e le Marche: è un peccato che ultimamente non sia
visitabile per alcuni cedimenti che hanno minacciato la
stabilità del tetto. È necessario un pronto restauro di modo
che con il supporto di una segnaletica adeguata e di un
mirato indirizzo turistico si possa restituire al più presto
questo insigne monumento al pubblico godimento.
@nonnoenio
|
|
|