Borgo di Capestrano - San Pietro ad Oratorium

 

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Chiesa di San Pietro Oratorium

 

ROTAS OPERA TENET AREPO SATOR San Pietro conserva, murata nella facciata, la famosa enigmatica iscrizione che ha suscitato tanta curiosità nel corso dei secoli: SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS. L'iscrizione in bei caratteri maiuscoli scolpiti a rilievo, dagli apici triangolari evidenti, disposta su cinque righe di cui due sottolineate, è riconducibile all'epoca della epigrafe dell'architrave, quindi al secolo XII. Comunemente assimilata ad un palindromo, cioè ad una parola o ad una frase che si può leggere da sinistra a destra e viceversa senza che risulti alterato il senso e la disposizione delle parole, il quadrato magico va oltre il palindromo, in quanto, disponendo le cinque parole, ciascuna di cinque lettere, su cinque righe si forma un quadrato (vedi foto in basso). Leggendo le parole così disposte da sinistra a destra, riga dopo riga, equivale a leggerle dal basso in senso contrario e anche in linea verticale, da sinistra a destra prima e da destra a sinistra poi, partendo dall'ultima lettera in basso. Il suo significato è controverso, le traduzioni dal latino spesso fantasiose. L'ipotesi più verosimile potrebbe essere legata alla lettura bustrofedica delle righe, caso non raro nell'antichità, per cui potremmo leggere: SATOR OPERA TENET - TENET OPERA SATOR, una frase di senso compiuto che significa semplicemente "Il seminatore controlla i lavori dei campi". Ovvero il monito ai fedeli : Il Creatore ricorda le opere, e ancora meglio, Il Creatore tiene a mente il tuo operato. Rinvierei in altra sede qualsiasi ulteriore speculazione, come per esempio la macchinosa interpretazione anagrammatica del testo, che darebbe luogo alle parole PATER NOSTER disposte a formare una croce greca con due A e due O alle estremità dei bracci, simbolicamente riferite ad Alfa e Omega, Inizio e Fine di tutto secondo l'Apocalisse

 

 

 

Chiesa di San Pietro Oratorium

 

Salvata dalle acque


Da rudere assediato dalle acque a meraviglia dell’arte abruzzese: storia di un restauro miracoloso. di Aldo Giorgio Pezzi, dottore di ricerca della facoltà di Architettura, Università G.D’Annunzio (Pe- Ch) "La quiete della valle solitaria circonda il paesaggio della cadente chiesa nascosta tra i pioppi alla riva del fiume impetuoso. Attorno alle rovine, spesso allagate dalla piena delle acque, s'abbarbica una tenace vegetazione, gelosa dissolvitrice di quelle pietre composte dalla mano paziente del marmorario. Il monastero è scomparso; le navatelle della chiesa smantellate fiancheggiano come un baluardo la nave di mezzo, sola dominatrice di una lotta secolare". Sono queste le parole con cui Gavini, alla fine degli anni Venti del Novecento, introduce S.Pietro ad Oratorium nella sua Storia dell'architettura in Abruzzo, descrivono con toni fortemente ruskiniani una chiesa ormai prossima alla scomparsa. Ma lo stato di abbandono in cui S. Pietro versava senza che alcun provvedimento venisse assunto per il suo recupero, proseguiva ormai da oltre mezzo secolo, complice la scarsa attenzione che le riservava la storiografia locale. L'importante edificio fu infatti escluso dall'elenco dei monumenti nazionali fino agli inizi del Novecento, in un periodo in cui l'appartenenza di una fabbrica a tale inventario era prerogativa indispensabile per il suo recupero. Il disinteresse delle istituzioni verso S.Pietro cesserà negli anni ‘30, quando proprio Gavini, con la sua opera, ne riconoscerà l'importanza in relazione all'architettura e alle opere d'arte interne (ciborio e affreschi absidali su tutti).

 


 

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Il Redentore, gli Evangelisti e i 24 Seniori dell’Apocalisse

Gli affreschi che decorano l'abside, dal caratteristico color ocra, sono molto importanti per la storia dell'arte abruzzese in quanto testo pittorico di arte romanica. Nella parete soprastante l'abside è raffigurato un soggetto abbastanza comune all'epoca, proveniente dalla tradizione paleocristiana: l'Agnello di Dio e il suo popolo nella sua completezza, le dodici tribù d'Israele e i dodici Apostoli, vale a dire il popolo del Vecchio e del Nuovo Testamento, secondo alcuni versetti dell'Apocalisse: "Allora i ventiquattro vegliardi e i quattro esseri viventi si prostrarono e adorarono Dio, seduto sul trono, dicendo: Amen, alleluia." (Ap. 19, 4). Le coppe che i vegliardi offrono al Padre Eterno sono quelle colme di profumi, pure citate nel testo sacro: " … e quando l'ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi, si prostrarono davanti all'Agnello, avendo ciascuno un'arpa e coppe d'oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi." (Ap. 5, 8). Gesù Cristo è rappresentato in trono, benedicente, tra i simboli degli Evangelisti e due figure di Tetramorfo, secondo l'iconografia stabilita dal Pontefice Leone Magno nel V secolo (440-461) e realizzata per la prima volta nel ciclo musivo della Basilica di San Paolo fuori le Mura, a Roma, che ritroveremo, interpretata in modo diverso, nella Cripta del Duomo di Anagni, all'inizio del 1200. Nella conca absidale, nel primo registro, è proposta una teoria di sei Santi suddivisi in due gruppi, probabilmente santi benedettini, in considerazione della tonsura e del codice rilegato contenente la Regola; purtroppo sono andate perse le immagini del livello superiore. Siamo di fronte a testimonianze pittoriche ancora influenzate dalla tradizione bizantina, molto importanti per la storia dell'arte abruzzese e dell'Italia centro meridionale. Infatti si ricollegano agli affreschi benedettini di epoca post desideriana (ndr. dopo il regno di Re Desiderio), situandosi più precisamente tra quelli di Sant'Angelo in Formis e quelli della cripta del Duomo di Anagni. Alla luce delle scoperte più recenti, si potrebbe pensare anche ad un collegamento più significativo con i dipinti murali della nuova Basilica di San Vincenzo, edificata lungo la riva destra del fiume Volturno, in Molise, e consacrata da Pasquale II nel 1117, e con quelli della Cappella di Santa Restituta, pure restaurata nel XII secolo. Infatti lo scavo sistematico del sito ha restituito lacerti (ndr. frammenti di affresco) attribuibili ai restauri e alla ricostruzione del monastero operati tra X e XI secolo, affreschi che presentano una cromia e un disegno familiari alle maestranze di S. Pietro ad Oratorium, ab origine filiazione del cenobio molisano.

 

 


 

 

@enio


 

 

 

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